Reading Tips: “Il futuro dei sogni” di Carlo Palazzi e “Clementina” di Giuliana Salvi

Ultimi miei Reading tips” dell’anno 2025 due romanzi corposi di narrativa italiana da me letti per diletto e per svago; “Il futuro dei sogni” di Carlo Palazzi e “Clementina” di Giuliana Salvi che hanno un comun denominatore, la narrazione di percorsi personali attraverso un tracciato storico consistente ricco di trasformazioni e cambiamenti
Buona lettura come sempre
Noi ci rileggiamo presto, promesso

Lucia

Il futuro dei sogni di Carlo Palazzi

“Il futuro dei sogni” di Carlo Palazzi, romanzo edito da Bolis Edizioni, è ambientato a Pescara pur potendo svolgersi in una qualsiasi città di media densità abitativa di provincia; narra la città che  fa gli da sfondo assieme alle vicissitudini di  Raimondo D’Amico, per tutti Ray, protagonista e narratore in prima persona di questo spaccato di vita durante un arco di tempo che va dagli anni Settanta sino ai giorni nostri. La trama colloca l’agito spazialmente per buona parte nella città ivi menzionata lasciando tuttavia spazio a un epilogo finale negli States. In questo frangente storico importante la società italiana fa grandi passi trasformandosi in modo radicale così come la maturità del suo protagonista che si evolve, anche attraverso due personaggi femminili di spicco, Selene e Chantal, che a mo’ di traghettatrici e sia pure da presupposti ben distinti seppur complementari contribuiscono al raggiungimento di un assetto personale di Ray maggiorente definito. “Il futuro dei sogni” racchiude un piano di metanarrazione importante nel momento in cui Ray quasi per gioco all’inizio scrive un romanzo, Amorazzi, sulla sua vita che poi decide di proporre per una eventuale pubblicazione a una casa editrice importante, una major, che lo darà alle stampe e in seguito provvederà a tradurlo per presentarlo all’estero dopo la candidatura dell’opera a un premio di levatura nazionale. Altro elemento rimarchevole la colonna sonora del romanzo scandita dai gusti musicali di Ray che ripercorre circa cinquant’anni di musica straniera per la maggior parte. Il ritmo scrittorio di Palazzi, godibile e scorrevole, induce il lettore a terminare senza affanno la lettura di quest’opera corposa.


Carlo Palazzi, Il futuro dei sogni, ISBN  9788878276512

 

Clementina di Giuliana Salvi

“Clementina”, Einaudi,  è il titolo del romanzo d’esordio di Giuliana Salvi e il nome completo di  Tina,  giovane e colta donna di origine leccese che a un certo punto della sua vita mette a punto ciò che ha di più caro per offrire alle due sorelle single a cui si è ricongiunta e ai suoi figli un cespite concreto di guadagno mettendo a frutto una cultura personale conquistata con sacrificio in un’epoca in cui alle donne non era sempre garantito di portare a termine un percorso di arricchimento personale. Diventa quindi precettrice e mentore di un numero consistente di ragazzi trasformando lo studio paterno dell’appartamento natale in una sorta di doposcuola “illuminato” per offrire sostegno e cura e preparare i suoi allievi scolasticamente e ad affrontare con coraggio e determinazione le vicissitudini esistenziali a loro più prossime. Anche in questo romanzo gli eventi si susseguono in un lasso di tempo cospicuo che va dal secondo decennio del secolo scorso sino agli anni sessanta mentre la protagonista modula con efficacia e sapienza  au feminin, con cuore e testa, la promessa espressa a Cesare suo marito, morto prematuramente, di offrire un’esistenza qualitativamente accettabile a se stessa e a chi ha accanto barcamenandosi con forza d’animo anche attraverso gli avvicendamenti storici  che inevitabilmente segnano la sua strada. Il romanzo si avvale di flaskback potenti che sottolineano l’intreccio regalando al lettore punti di snodo interessanti e pregnanti da parte di una donna “tutta gesti” espressi con altrettanta consapevolezza come impeccabilmente riporta la quarta di copertina.

 

Giuliana Salvi, Clementina, ISBN 9788806266110

 

Éblouir Paris: elogio della Bellezza Luminosa al Musée d’Orsay

Ho sempre adorato i “pittori luminosi” e non semplicemente per un mio personale atteggiamento mentale. La Luce è vita, prospettiva, cammino da perseguire sempre. E quindi in visita al Musée d’Orsay a Parigi nei giorni scorsi la prima cosa che ho scelto di vedere è stata d’emblée la prima mostra monografica francese retrospettiva dedicata a John Singer Sargent realizzata  in collaborazione con il MOMA di New York intitolata Éblouir Paris, Abbagliare Parigi. Ed è questa la sensazione che mi ha avvolta con morbida leggerezza nella mia visita: un senso di stupore luminoso sentito attraverso alcune delle opere più significative del primo periodo di questo pittore nato in Italia ma americano sino al midollo. Capace di contaminare con generosità la sua arte  mettendola in bilico tra passato e presente in una prospettiva decisamente sui generis: sua e propria, come soltanto a pochi è concesso.
Qui di seguito troverete alcuni scatti da me realizzati brevi manu con il mio solito POV di pancia: da mera spettatrice di Bellezza, di quella che ti nutre e ti dà la capacità di andare avanti mantenendoti sempre a pelo d’acqua, sguardo rivolto verso il cielo.
Buona lettura e buona visione a tutti

Lucia*  

                                        “Una vita fatta di piccoli e significativi passi” (n.d.r)

"In the Luxembourg Gardens" J. Singer Sargent (1879) 
 
I left my soul there, down by the seaI lost control here, livin' free
(cit.)

"Atlantic Sunset"  (1878)

 

“lasciami in questo incantesimo di Sole” (n.d.r)

"Dans les Oliviers à Capri" (1878)
 
"io e te al di là dello spazio e del tempo" (n.d.r)

Particolare di "The Daughters of Edward Darley Boit" (1882)

“è solo una folata di vento leggero” (n.d.r)

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Una recensione a “Ninna Nanna”


Qualcuno una volta mi disse che premi e recensioni servivano soltanto ad alimentare l’ego di un autore. Possibile, certamente. Un cenno minimo soprattutto se positivo è sempre gratificante e contribuisce di sicuro a innalzare l’autostima di chi scrive. Tuttavia per me ha il valore doppio del gesto sentito oltre che dell’atto dovuto, specialmente se non è frutto di nessun tipo di induzione. E, quindi, infinitamente grata accolgo le parole di Maria Teresa Rauzino che sul suo blog   Uriatinon parla del mio racconto Ninna Nanna, omaggio alla Transumanza e al Tratturo Magno, con benevolenza ed empatia.
Buona lettura a tutti
A presto
Lucia

Ninna Nanna

Il Festival del Tratturo è un evento organizzato annualmente dall’Associazione Tratturo Magno 4.0 nata in terra d’Abruzzo nel 2021 per valorizzare e rigenerare in chiave “green” il territorio e il tracciato dell’antico Tratturo Magno. Questa lunghissima e antica via erbosa in epoca passata univa, infatti, Abruzzo e Puglia collegando L’Aquila al Tavoliere delle Puglie. Costituiva il percorso principale per la transumanza, ovvero il trasferimento stagionale di greggi alla ricerca di pascoli più ricchi specialmente nei mesi freddi in cui era difficile trovare per loro sostentamento ad alta quota. Al Festival è connesso un premio letterario internazionale intitolato “Il Tratturo Magno” articolato in quattro sezioni (poesia, prosa, saggi e progetti) a cui ho partecipato quest’anno con un racconto breve inedito intitolato “Ninna Nanna” classificatosi al secondo posto.
È la storia dell’amore di Ninetta per Giovanni, lei bracciante e lui pastore, appartenenti a due mondi differenti ma complementari uniti nel desiderio di condividere la stessa sorte con entusiasmo e passione.
Buona lettura a tutti

A presto

Lucia  

Ninna Nanna

Tegne na criatura ch’è nu sciore,
sope ssu sciore ascegne na farfalla,
la farfalla te porta argento e iore:
addùrmete, trasore.*

Ninetta baciò tenera il suo bambino. Il giorno in cui aveva conosciuto il padre di suo figlio era d’ottobre e i filari della vigna erano già stati spogliati dei loro grappoli bruni. Le piaceva spizzicare di nascosto qualche acino dalle ceste dei braccianti come lei intenti con pazienza in quell’impresa. Statta soda, era la raccomandazione più frequente di sua madre impegnata con pazienza in quell’arte antica ma lei la ignorava e continuava sfrontata come niente fosse. Ninetta preferiva la vendemmia alla trebbiatura del grano o alla raccolta delle olive. Le piaceva quell’aria festante di fine estate che si diffondeva lenta nella masseria permeando allo stesso identico modo l’operaio e il vignaiolo esperto. I canti e i balli, le tavolate serali a fine coglitura quando l’aria era ancora dolce e i grilli e le lucciole continuavano a percepirsi nel buio della notte. Lo zelo dei lavoranti, intenti a pigiare nei tini l’uva di cui lei, piccolina, riusciva solo a sentire il profumo oltre l’orlo di legno consunto. Era stata una sorpresa quel luccichio di occhi scuri nell’imbrunire della campagna oramai al tramonto. Lei gli si era avvicinata impavida ma l’altro con un dito sulle labbra le aveva chiesto il silenzio. Voleva restare invisibile ai margini di quell’allegria frutto di lunghe giornate di lavoro altrui, lui che nella vita non era contadino ma pastore. E lei l’aveva assecondato. Non aveva detto una parola né lo aveva tradito consapevole che loro due appartenevano a due mondi diversi anche se complementari. Giuva’ aveva fatto la sua comparsa ufficiale alla masseria qualche giorno dopo con una fiscella di ricotta in mano per barattarla con un po’ di pane appena fatto. Il cane legato alla lunga catena di ferro gli aveva ringhiato e poi abbaiato contro ma lui non s’era scomposto avvezzo com’era alla fama che precedeva a torto o a ragione quelli come lui. Gli uomini erano in campagna, impegnati in altre fatiche, le donne a panificare. L’unica ad andargli incontro era stata quella ragazza esile simile a na iattaredda, una gattina, come sua nonna l’appellava spesso con affetto. Pelle luminosa appena scurita dalla vita nei campi, occhi celesti come l’acqua sulfurea di un fiume che scorreva nei pressi del suo paese in Abruzzo e capelli lisci sfuggiti alla treccia. Incredibilmente biondi, schiariti dal sole che il fazzoletto d’ordinanza in testa non era riuscito a contenere. Lei aveva finalmente notato il vigore delle sue braccia fasciate in una camiciola di tela tessuta in casa, i calzoni corti al ginocchio, i capelli neri e ricci lasciati liberi e non nascosti sotto il cappellaccio informe che portava piegato in tasca. Se l’era tolto per lei, per non spaventarla e per rispetto. Un pezzo di roccia in parte ricoperta da incrostazioni di quarzo come quelle che da bambino trovava in collina e poi barattava col figlio del farmacista del paesello natio in cambio di qualche biglia: luccicante sotto il sole, comunissima all’ombra. Quello erano loro due, una pietra anonima lui abbellita da una promessa di splendore lei.

Nisciune penza che, senza li ruve
e spine, non sciurisce la staggiona,
e senza neve, senza lampe e trone,
non po menì lu magge bell’e nnove.*

All’inizio avevano fatto all’amore in modo sommesso, Ninetta e Giovanni, attenti che nessuno scoprisse che erano quasi una cosa sola. Giuva’ era accampato in una casupola con altri pastori e le greggi a poca distanza dalla masseria nei pressi del tratturo. Ma davvero tiene un castello lu patrone toa?, gli aveva chiesto lei mentre con gli occhi azzurri sgranati ascoltava le storie che lui le raccontava su di sé e sulla sua terra. Scine, sì. Giovanni l’aveva guardata quasi in tralice. Quella citiletta che sembrava scomparire al primo soffio di vento si sorprendeva delle parole di uno come lui, diventato pastore per campare sua madre e i suoi fratelli, avvezzo alle intemperie della natura e a quelle degli uomini… Ma la tenerezza era prevalsa e lui se l’era prima mangiata con gli occhi e poi l’aveva stretta a sé. Ninetta era temeraria. Per carpire qualche momento di complicità tra di loro era capace di inventarsi le faccende più disparate: la necessità di cogliere un po’ di cicorietta selvatica nei terreni limitrofi, di cui suo padre, Andune u sangiuvanner, era ghiotto; la fantomatica ricerca di un coniglio scappato dalla garenna lasciata aperta da qualcuno per sbaglio; il giorno di mercato settimanale in paese a cui di recente non mancava mai e che le serviva per incrociarsi quasi per magia col suo innamorato. Quel pomeriggio aveva convinto Mariuccia, sua coetanea, ad accompagnarla nell’oliveto più lontano dalla masseria proponendole di raccattare da terra e dai rami più bassi qualche oliva risparmiata dalla bacchiatura in cambio di una blusetta ancora nuova che cominciava ad andarle stretta e che all’altra piaceva assai. L’amica aveva accettato ma poi aveva storto la bocca quando aveva riconosciuto la figura alta e muscolosa di Giovanni. Aveva però abbozzato limitandosi a sbirciarli a doverosa distanza con un misto di invidia e curiosità mentre qualche oliva la coglieva davvero per riportarsela a casa. Lei lo sposo non lo teneva, ma cionondimeno aveva deciso di essere solidale con la sua compagna, almeno per quella volta. Giuva’ e Ninetta avevano continuato a fabbricare castelli di carta baciandosi con trasporto dietro il muretto di pietra a secco tra l’imbarazzo e il desiderio. Nessuno si era accorto del sopraggiungere di Antonio che voleva vederci chiaro, insospettito dallo zelo mostrato da quella figlia a cui il lavoro di raccattatura non era mai piaciuto.

“Quanno te vòde, mi sento ‘u core ‘mbacce, Nine’.”

“Nun pozze cchiu stà’ senza ‘e te, Giuva’.”

Possibile che si fossero spinti così in là? Possibile. Ma proprio con un pastore doveva finire sua figlia? Con uno come lui un pastoricchio,  arte de mazze, nu frustire bbruzzèse di cui poco si conosceva. Un anno lì da loro e l’anno successivo chissà dove.

Uaglio’, e mo’ t’a ddà piglià

E non era, la sua, una richiesta ma un’imposizione. Ninetta si era alzata di scatto ravviandosi i capelli e lisciandosi la camiciola scrollandosi di dosso polvere e senso di colpa mentre Giovanni le si metteva davanti con fare protettivo sfidando la collera dell’altro trattenuto a stento da un bracciante. Si erano guardati velocemente negli occhi, pieni di lacrime quelli di lei, di orgoglio e ostinazione quelli di lui scambiando una promessa muta prima che il padre incollerito la trascinasse via.

«Nun m’scuordà, Giuva’»

«Te vôi bene, Nine’»

Il mucchietto di olive picchiettate di marrone di Mariuccia era rimasto sotto il tronco di una pianta. Abbandonate in fretta, sarebbero diventate cibo per qualche animale selvatico o qualche uccello. Ninetta sospirò. Non era così che aveva immaginato il giorno della sua richiesta di matrimonio. Sapeva bene che dalla stanzetta che divideva con i suoi fratelli ci sarebbe uscita solo nel giorno delle nozze celebrate di sicuro alle prime luci dell’alba com’era d’uso per quelle come lei compromesse che avevano necessità di riabilitarsi agli occhi del mondo assumendo il ruolo di moglie senza troppo clamore.

La vucelluzza inte lu nide è stracqua,

lu nide è calle mo che sta la mamma,

la mamma l’ha purtate n’atu sciore:

addùrmete, trasore.*

Fare la transumanza con suo marito, il suo mezzo pane, era stato faticoso ma meraviglioso. Ninetta aveva conosciuto la struggente bellezza del cielo stellato sopra di loro, il sapore deciso della micischia masticata come companatico quando non c’era niente di meglio da mangiare. Il tepore degli agnellini appena nati e il freddo penetrante delle ultime folate di strina, come Giuva’ chiamava il grecale. Le era talmente piaciuto da tacere a tutti, marito incluso, il motivo di quella pancia che cresceva sotto la veste dall’orlo sempre più corto. Ma poi si era arresa e quel bambino aveva scelto di partorirlo accarezzata dai primi refoli di favonio attorniata dalle donne di famiglia.

La vi’, la vi’, camina na mureia
sope la nannavicula ‘nnucenta.
Addùrmete, trasore, non è nente:
iè l’ombra mia che te nazzecheia.*

Sua madre lo ninnava quando lei era stanca per il sonno che le mancava per la fame continua di latte e di vita di quel piccino desiderato più dell’aria. E intanto la mala fortuna se ne andava sconfitta da un amore che non temeva né spazio né tempo.

Bbellu comu u sule, stu criatur: brunu cu l’uocchi chiaru, u piantu putenti, le bracce versu l’alte cu li pugni chiusi. Pare ca cerca giustizia pe’ tutti, era stato il commento di Concetta la massara forestiera, sua commare d’anello. Ninetta aveva sorriso pensando che presto padre e figlio si sarebbero finalmente conosciuti e che a lei in dono sarebbe toccato l’abbraccio di un uomo forte e silenzioso che sapeva di aria buona, di sole, di terra e di speranza. Di preziosità segrete solo a lei note.

Lucia Guida

*
Le strofe citate nel racconto, presentate dall’autrice in ordine sparso per questione di coerenza narrativa, sono tratte dalle poesie di Joseph Tusiani “Verne bbone pane megghie” e “Ninna nanna”  e parte della raccolta  Storie dal Gargano, Poesie e narrazioni in versi dialettali (1955-2005) a cura di Antonio Motta, Anna Siani e Cosma Siani, San Marco in Lamis, Quaderni del Sud (2006)

"Popolana abruzzese", Francesco Paolo Michetti (1895)

Recensioni d’antan. “Questo indomito cuore” di Pearl S. Buck

Secondo anno consecutivo come articolista freelance per Mentinfuga, rivista web  indipendente con la prima recensione di un romanzo della scrittrice americana Pearl S. Buck.
Buona lettura a tutti
A presto


RECENSIONI D’ANTAN. “QUESTO INDOMITO CUORE” DI PEARL S. BUCK

Che cosa accade quando in una vecchia libreria domestica trovi libri di grande narrativa straniera nelle loro prime edizioni italiane? Incuriosita provi a leggerli. E scopri che accanto alla traduzione che rispecchia fedelmente gli standard linguistici dell’epoca c’è la freschezza e l’attualità di capolavori senza tempo. Ecco Questo indomito cuore di Pearl S. Buck.
Susanna Gaylord è una talentuosa e giovane ragazza americana. Vive in una piccola città americana di provincia negli anni trenta in una famiglia composta da padre, professore universitario e musicista mancato, madre e Maria, personaggio emblematico, che mal sopporta il fatto di avere accanto a sé una sorella così geniale. Susanna si percepisce da sempre come una outsider nell’ambiente di provenienza pur mantenendo un basso profilo per rendersi bene accetta al suo entourage; il suo sogno è quello di realizzarsi come Donna formando una famiglia con Marco, suo ex compagno di scuola che la adora da sempre, continuando in parallelo a coltivare il dono artistico che possiede da bambina conducendo un’esistenza tranquilla in un contesto urbano in cui poco posto è lasciato ai desideri e alle aspirazioni femminili. Sceglie di diventare madre perché considera la maternità un ulteriore modo creativo per infondere la vita che scorre attraverso le opere in creta che realizza.
Queste velleità trovano grande risonanza in suo marito che pur rendendosi conto della disparità culturale che li separa è ben intenzionato a supportare per quanto possibile sua moglie sino alla fine dei suoi giorni, arrivando a sacrificare la sua vita così come Susanna, quanto meno all’inizio della loro biografia coniugale ha fatto, negandosi opportunità di crescita all’estero.  La perdita del coniuge dà a Susanna, che non vuol restare intrappolata in un’esistenza piatta e incolore, la forza di intraprendere quel viaggio di rifinitura artistica e culturale a Parigi tanto caldeggiato da uno dei suoi maestri, l’affermato scultore Barnes. Susanna parte accompagnata da Giovanna, tata tuttofare dei suoi figli Giovanni e Marzia, con poche sostanze e molto entusiasmo. A Parigi oltre ad affinare la sua arte ha la possibilità di riscoprire la sua femminilità grazie a Blake Kinnaird, americano, artista a tempo perso appartenente a una facoltosa famiglia che se ne innamora e in poco tempo la convince a sposarlo. Rientrata negli Stati Uniti Susanna mal si adegua alla routine tipica di un’agiata moglie newyorkese e a un sentimento in cui riconosce una certa manipolazione da parte dell’uomo che ha accanto. Pian piano riprende la sua attività di scultrice incoraggiata da Michele, giovane pittore estremamente capace anche se non particolarmente convinto della sua abilità, e dal suo antico mentore Barnes ottenendo risultati notevoli sino a diventare un’artista affermata a dispetto di una società che mal sopporta donne dai meriti particolari capaci di vivere di luce propria invece che di luce riflessa. Il personaggio di Susanna è dalla Buck ben tornito; scolpito con la stessa abilità che la sua eroina mette nella forza con cui si cimenta materialmente e simbolicamente nella creazione di statue dalla grandezza imponente ricavate da blocchi di marmo pregiato, mentre il suo secondo marito resta prigioniero altrettanto metaforicamente in un’arte sterile che vorrebbe essere innovativa ma che non vi riesce restando mero esercizio virtuosistico di abilità fine a sé stessa. Susanna, al contrario, fa tesoro di quanto la vita le ha consentito di apprendere sublimandolo in opere in cui con sapienza coniuga tecnica e capacità di interpretare l’anima di chi ritrae creando uno stile suo, personale e particolare, che le consente di ottenere il plauso di critici importanti come Hart e Barnes. Il sacrificio della sua vita privata (divorzierà da Blake riprendendosi quella parte di sé stessa di cui il marito l’aveva privata tentando di adeguarla alla sua idea preconcetta di compagna di vita)  le consentirà di vivere in equilibrio con la propria interiorità, portando con sé soltanto gli affetti più cari: i suoi due figli, la fedele governante, sua madre, Barnes. Quelle persone che in maniera disinteressata le hanno consentito di realizzarsi come Donna ma soprattutto come Persona in tempi in cui la società e le consuetudini avrebbero voluto per lei strade diverse. Con un ritorno felice al punto di inizio di questa storia: la fattoria in cui ha intrapreso i primi passi d’artista ai tempi del primo matrimonio, in un ambiente lontano dalla città in cui è nata abbastanza per continuare a esercitare talento e abilità in una riconquistata prospettiva esistenziale essenziale e feconda.
Lucia Guida

*Letto nell’edizione del 1940 di Arnaldo Mondadori per la collana Medusa

Note biografiche su Pearl S. Buck (ndr)

Pearl S. Buck nasce nel 1892 a Hillsboro, West Virginia. Figlia di migranti di origine europea si trasferisce da bambina con i suoi genitori missionari della chiesa presbiteriana in Cina dove assorbe molto della civiltà del popolo con cui vive a stretto contatto. Nonostante i frequenti rientri in America conserva un legame forte con la Cina ritornandovi più volte dopo aver conseguito negli Stati Uniti la laurea in letteratura inglese che le varrà la docenza in quest’ambito all’Università di Nanchino prima di riparare successivamente in Giappone. Vincitrice dell’ American Academy of Arts and Letters , del premio Pulitzer nel 1932 per il romanzo The Good Earth e successivamente nel 1938 del premio Nobel per la letteratura. Sensibile a tematiche sociali con riferimento soprattutto all’infanzia deprivata dei bambini di tutto il mondo fonda la “Pearl S. Buck International”. Lascia un’eredità letteraria consistente pari a oltre ottanta opere di varia tipologia di cui alcune scritte sotto pseudonimo. Muore nel Vermont nel 1973 di cancro chiedendo che il suo nome venga riportato sulla lapide in caratteri cinesi come omaggio alla sua patria di elezione.

NB: L’articolo in originale è qui 

Thinking and Writing as a Former English Teacher – 1st Lesson

Passano gli anni, cambiano le situazioni e gli stati d’animo ma in fondo in fondo si resta sempre un po’ prof. Il mio primo aforisma da just retired per voi. Con la promessa di rileggerci presto, prestissimo

                                                  Between the True and the False,

there is always a neutral Maybe

                                                               Tra il Vero e il Falso

c’è sempre un Forse

a tinta neutra

L. Guida

Reading Tips: “Tutta la vita che resta” di Roberta Recchia e “La signora Craddock” di William Somerset Maugham

Oltrepassata la boa temporale del ferragosto, momento tradizionalmente statico della quotidianità italiana, due nuove proposte di lettura estiva: “Tutta la vita che resta” di R. Recchia edito da Rizzoli per la collana La Scala e “La signora Craddock” di W. S. Maugham letto nell’edizione proposta dal Club degli Editori  del 1969.
Buona lettura e  presto

Lucia

Tutta la vita che resta di Roberta Recchia

La narrazione della biografia familiare dei Balestrieri e poi degli Ansaldo fa da cornice alla ben articolata storia di Marisa, Mimì per i suoi cari, Stelvio, Betta ed Ettore jr. dipanandosi nell’arco di un trentennio prevalentemente tra Roma e  località limitrofe. Sono storie marcate da ordinario dolore e sofferenza e qualche lieto fine che si impennano quando nell’estate del 1980 Betta, secondogenita di Marisa e Stelvio, viene assassinata in riva al mare a Torre Domizia senza un  apparente perché. Di queste tristi vicissitudini pagherà il prezzo più alto la giovanissima Miriam che si è autoinflitta la croce di portare dentro di sé, con inevitabili e gravi ripercussioni a livello psicofisico, un segreto indicibile in qualità di testimone silenziosa e segreta della morte della sua esuberante e giovane cugina. Una realtà che è da un lato inconfessabile e dall’altro il prodotto di antichi tabu legati a disvalori come quello di una rispettabilità apparente che non dev’essere mai infranta, qualsiasi costo abbia, di cui la matriarca della vicenda, Letizia,  nonna di Betta e Miriam e madre di Marisa, si arroga il diritto di pretendere sacrificando il benessere della sua discendente più giovane. Saranno Leo, ragazzo di borgata, e sua sorella Corallina a ripristinare l’ordine offrendo a Miriam una profferta concreta e amorevole di rinascita per una vita futura piena di amore e considerazione maggiori. Trama e intreccio sono dosati con sapienza dall’autrice e conducono il lettore con mano salda sino alla fine del romanzo, motivandolo a portarne con agio a termine  la lettura.

Tutta la vita che resta,  Roberta Recchia, ISBN 9788817183499

La signora Craddock di William Somerset Maugham

In un’Inghilterra dei primi anni del secolo scorso una giovane ereditiera, Berta Ley, cerca di fare buon viso a cattivo gioco alla noia della sua routine imbastendo per sé stessa un vero e proprio romance amoroso nella tranquillità eccessiva e soporifera della campagna del Kent. Da poco proprietaria per lascito testamentario di suo padre di Court Leys si convince che l’uomo per lei ideale possa essere Edoardo Craddock, suo antico compagno di giochi e figlio di un ex dipendente della tenuta. In questa parvenza di realtà costituita più dai desiderata e dalle proiezioni della ragazza che da una concreta e plausibile evidenza dei fatti nascono un amore e poi un matrimonio destinati ben presto, dopo i primi anni di collaudo del ménage, a rivelarsi come una congerie di idee, gusti, azioni che più che legare due persone definiranno con nettezza i contorni di entrambi su piani decisamente paralleli destinati a non incontrarsi mai. All’iniziale entusiasmo di Betta subentrano una forte delusione e la certezza di aver scelto come compagno della sua vita un uomo di pochissimo spessore, culturalmente assai distante dalla sua sensibilità e tuttavia ben deciso di servirsi a suo piacimento, (sia pure con l’attenuante di aver saputo moltiplicare la fortuna economica della sua consorte che lo ha reso unico amministratore dei suoi beni) di quell’occasione di benessere materiale regalatagli da un’unione assai conveniente. La sottile ironia di Somerset Maugham è il fil rouge che percorre l’intero romanzo attraverso la tecnica del narratore onnisciente propendendo forse con maggior empatia verso  la protagonista più che verso il consorte di quest’ultima descritto come amante della propria opinione non per forza di carattere quanto piuttosto per una sorta di ottusità mentale che lo porta a glissare su tutto ciò che non aderisca perfettamente al suo sentire. Una storia sull’incomunicabilità umana e su quanto sia fallace e azzardato innamorarsi dell’amore rischiando, quando ciò accade, di essere condotti verso scelte di vita profondamente infelici.

La signora Craddock,  W. S. Maugham, edizione del 1969 a cura del Club degli Editori

Interviste (Im)perfette: Giulietta Iannone intervista Lucia Guida

“Interviste (Im)perfette, A tu per tu con gli scrittori” in formato kindle nasce da un’idea concreta di Giulietta Iannone e del portale Liberi di scrivere per aiutare a finanziare Medici senza Frontiere Italia Onlus (di cui sono sostenitrice da qualche anno) impegnato in prima linea a Gaza e laddove nel mondo da oramai più di 50 anni ci sia bisogno di assistenza medica specialistica, al di là di schieramento politici, religiosi e di qualsiasi altra tipologia.  Dal nucleo originario composto da dodici autori si è arrivati a quello finale di venti in cui ci sono anch’io. Con il placet di Giulietta vi propongo il mio contributo che è una conversazione a tutto tondo su scrittura, editoria e vita in senso ampio.
Buona lettura a tutti e buon ferragosto
A risentirci presto
Lucia

Interviste (im)perfette: a tu per tu con gli scrittori  – Un’intervista con Lucia Guida

1. Benvenuta Lucia, come prima domanda ti chiederei di parlarci di te, dei tuoi studi, del tuo lavoro.


Grazie a te, Giulietta. Lucia Guida, classe 1965, acquario ascendente gemelli, lo dico non semplicemente per fornire un dato di tipo astrologico ma per sottolineare la mia attitudine “aerea”, chiamiamola così. Dopo la maturità magistrale conseguita all’età di diciassette anni mi sono iscritta alla facoltà di Lingue e Letterature Straniere laureandomi esattamente quattro anni dopo. Nel frattempo ho continuato a studiare e mi sono abilitata per insegnare nella scuola d’infanzia e per conseguire un’idoneità in quella primaria. Una breve ma intensa esperienza annuale di docenza all’estero nelle scuole statali italiane dipendenti dal Maeci e poi il rientro in Italia come vincitrice di concorso nella scuola pubblica statale italiana in cui ho insegnato continuativamente sino a quest’anno scolastico 2024/25. Ho poi conseguito un master di II livello per l’insegnamento dell’italiano lingua seconda, un’idoneità per insegnare sempre per il Maeci all’estero come docente e lettrice e un corso di perfezionamento sull’Unione Europea non necessariamente nell’ordine in cui te ne ho parlato. Dal I settembre sarò in quiescenza dopo aver ricoperto la mansione di docente di lingua inglese e italiano L2 nella secondaria di I grado per più di trent’anni. Una vita lavorativa intensa, insomma…

2. Come è nato il tuo amore per i libri? Quando hai deciso di diventare
scrittrice?

Da bambina, non appena ho imparato a leggere grazie agli stimoli ricevuti in famiglia e alla mia curiosità di adolescente, tanto da preferire per le ricorrenze i libri come tipologia di regalo. Jo March di Little Women della Alcott mi ha molto ispirata all’epoca: mi piacevano tantissimo la sua indipendenza e quel senso di libertà che trasudava dal suo personaggio. Per scrivere in maniera continuativa e seria, diciamo così, ho tuttavia dovuto attendere un bel po’ : ho scelto di farlo con consapevolezza e non semplicemente per fini terapeutici quando i riscontri positivi dell’apertura di un blog nella community di libero nel 2006 mi hanno indotta a pensare che, magari, le cose su cui soffermavo la mia attenzione di autrice potevano interessare anche altri. Dopo le conferme ricevute dai primi concorsi nazionali e internazionali di prosa cui ho partecipato ho collaborato ad antologie di autori vari e finalmente nel 2012 deciso di pubblicare come solista solo ed esclusivamente per case editrici non a pagamento.

3. Quali sono le doti principali di uno scrittore?

Decisamente la pazienza e la perseveranza. Mi spiego: scrivere non è tout court avere a disposizione un’idea felice ma piuttosto la capacità di tradurla in un linguaggio “comunicativo”, diciamo così. Di arrivare al lettore, toccare la sua sensibilità. Per me è una fatica notevole: le idee ci sono e sono tante; svilupparle in maniera decorosa, quello è il vero lavoro, la vera fatica. Un autore dovrebbe possedere il dono di mettersi a confronto con gli altri, non dare nulla per scontato, essere di continuo pronto a mettersi e rimettersi in discussione. Soprattutto quando pensa, compreso com’è nel suo mondo interiore, di essere intelligibile per tutti quando in realtà non lo è sempre pienamente: a questo punto il lavoro di un editor competente, assertivo ma non debordante, diventa fondamentale nelle fasi di pubblicazione di un’opera.

4. Oltre la porta socchiusa di Arkadia Editore è il tuo ultimo libro. Ce ne vuoi parlare? Di cosa parla più nel dettaglio?

Oltre la porta socchiusa del 2024 è il terzo romanzo di una trilogia intitolata
“Prospettive Urbane” cha ha avuto inizio nel 2016 con Romanzo Popolare edito da Amarganta e poi prosecuzione con Come gigli di mare tra la sabbia pubblicato da Alcheringa nel 2021. La mia idea era di parlare di donne e uomini in cammino e in crescita partendo da una prospettiva ampia come quella di quartiere per il primo, circoscrivere questa disamina nel microcosmo rappresentato da un condominio di semiperiferia nel secondo e poi continuare con Oltre delimitando ulteriormente il punto di vista per scavare in profondità soprattutto nella psiche dei protagonisti. Di tematiche attuali in ballo in quest’ultimo romanzo ce ne sono parecchie: la difficoltà di legarsi e impegnarsi dal punto di vista affettivo-sentimentale in una società caratterizzata dalla liquidità (Bauman docet) dei sentimenti. Il senso di possesso esasperato nei confronti delle donne da parte di uomini incapaci di lasciarle andare da sole per la propria strada alla fine di un rapporto sino a sfociare nel fenomeno dello stalking. Lo stesso ghosting che è un’altra criticità dei nostri tempi visto che spesso si preferisce scomparire dalla vita di persone care con cui si condividono momenti di intimità senza una spiegazione o un riscontro minimo. Affidando talvolta il compito di definire una relazione, se va bene!, ad applicazioni di messaggeria istantanea invece di preferire un confronto sincero de visu. Oppure scomparendo senza una parola di spiegazione, cosa ancora peggiore

5. Quanto hai impiegato a scrivere il romanzo?

Circa due anni. Nella scrittura sono piuttosto lenta (rileggo dall’inizio sempre tutto prima di iniziare una nuova pagina) e c’è da considerare che sino a oggi non è stata la mia occupazione principale. Poi credo che si debba narrare quando si ha realmente necessità di comunicare qualcosa: la scrittura secondo me è un atto di consapevolezza estrema che non può essere ridotta a questioni di tipo quantitativo. Ammiro comunque chi in pochi mesi riesce a confezionare un prodotto librario. Io non ne sono capace, ho bisogno di sentire che ho dentro di me davvero qualcosa di incisivo da trasmettere agli altri per farlo.

6. Parlaci dei personaggi principali.

Iniziamo con Alice Bellucci, single poco più che quarantenne, che deve in un sol colpo affrontare diversi bivi esistenziali, sua sorella Betty, felicemente sposata e con la mania di dirigere la vita degli altri. Carlo e Paride, uomini emblematici anche se sotto aspetti diversi l’uno dall’altro ma anche Davide, cognato di Alice e marito di  Betty, e Matias, adolescente e nipote dalla protagonista, funzionale al percorso di  ripresa a tutto tondo di Alice. Sullo sfondo una città di provincia non bene identificata con i suoi pro e contro e diverse situazioni di quotidianità “non ordinaria”, come la definisco io.

7. Scrivi solo romanzi o anche racconti? Ti piace la narrativa breve?

Sono nata come autrice di racconti brevi e questo genere letterario, che è poi quello con cui nel 2012 ho esordito con una silloge, appunto di novelle, resta il mio percorso preferito scrittoriamente parlando. Oltre a costituire un ottimo banco di prova per chiunque voglia cimentarsi nell’arte dell’affabulazione perché in una tempistica ben precisa devi saper dare forma a una trama e un intreccio che abbiano significato e pregnanza più che accettabili

8. Ami leggere? Cosa stai leggendo attualmente? Quale è il libro sul tuo
comodino?

La lettura è un passatempo che come già ti dicevo coltivo da tempo immemore.
Leggo parecchio perché è giusto farlo per comprendere degli altri e della vita aspetti che diversamente andrebbero persi. Perché è importante badare alla “concorrenza” cercando di capire dove va il mercato editoriale. Lo reputo doveroso per un autore: non ci si può limitare a scrivere tralasciando un utile e importante rovescio della medaglia come questo. La lettura ci permette di mantenere i piedi ben piantati per terra ed è un ottimo banco di prova e di confronto, c’è sempre da imparare qualcosa da qualcuno che scrive e crea a volte meglio di noi.
Paradossalmente anche un libro brutto è in grado di insegnarci qualcosa. Se capita di avere tra le mani una pubblicazione che non mi entusiasma la metto da parte senza sensi di colpa ringraziando Pennac per avermelo autorevolmente suggerito. Confesso di avere una bella pila di libri in camera da letto, per me concludere una giornata con qualcosa di bello è fondamentale. L’ultimo in ordine di tempo è stato  “Inventario di quello che resta mentre la foresta brucia” di Ruol, che ho conosciuto personalmente per il tramite di uno scrittore amico al SalTo 2024, candidato finalista allo Strega e da me acquistato però in tempi non sospetti.

9. Hai relazioni di amicizia con altri scrittori?

Qualcuna, sì, ed è un tipo di amicizia molto calata nel personale: non riesco a coltivare un rapporto amichevole se non stimo e non sono empaticamente in contatto con chi mi sta di fronte. C’è tuttavia molta competitività in questo ambiente: la sensazione fallace di essere arrivati per il sol fatto di aver pubblicato a volte può spingere a isolarsi nella propria torre eburnea. Una sensazione ingannevole perché il mercato editoriale è talmente vasto da non offrire certezze sotto questo profilo. Accettare di continuare a crescere potrebbe, forse, aiutare a costruire meglio e in maniera più duratura la propria professionalità anche in questo settore. La parola d’ordine è sempre la stessa: consapevolezza, di ciò che si è nell’attimo presente, di ciò che si è capaci di raggiungere e di quanto ancora c’è da fare per migliorarsi

10. Come cerchi di preservare la tua indipendenza spirituale nell’odierno mondo letterario?

Evitando prese di posizione snob, come ho già detto, cercando di non essere
opportunista per spianarmi la strada e mantenendomi per quanto posso onesta mentalmente. Conservando la mia autonomia e non legandomi a nessun entourage a varie tinte connotato pur continuando ad avere idee molto chiare su tante cose; e, quindi, mostrandomi per ciò che nella realtà sono, punti di forza e punti di debolezza, senza millantare sfaccettature che non fanno parte del mio modo di essere per mere questioni di tornaconto personale e/o professionale

11. Cosa pensi del legame tra cinema e letteratura? 

Ne penso soltanto bene, al punto tale da essere stata definita da più di un relatore che mi ha affiancata nel corso degli anni nelle varie presentazioni dei miei libri una “prosatrice” dal taglio filmico, essenziale. La versione cinematografica ben articolata di un libro può aiutarlo nella sua pubblicizzazione avvicinando alla lettura target di persone che diversamente non si sarebbero mai cimentate in questo passatempo. Credo sia ipocrita pensare una cosa diversa, soprattutto in un frangente storico come il nostro in cui la nostra esistenza spicciola è popolata di continuo da immagini.

12. Quale è il significato del talento per te?

Bella domanda. Scrivere non è semplicemente mettere in fila parole sapienti né rincorrere effetti speciali a tutti i costi o attenersi con scrupolo a tecniche e strategie narrative di varia natura; il talento se lo possiedi è la sfumatura che differenzia la tua capacità affabulatoria da quella di un altro. Padroneggiare l’aspetto formale per uno scrittore è una dote essenziale, al di là dell’incontro e della sinergia che si instaura con un bravo editor, ma senza talento questa abilità resta un guscio vuoto destinato a infrangersi.

13. Ti piace fare un tour promozionali? Dì ai nostri lettori qualcosa di divertente accaduto durante questi incontri.

Considero le presentazioni una necessità da parte dell’autore che proattivamente vuol mettersi nella condizione di farsi conoscere da più persone possibili, oltre a offrire a potenziali lettori chiavi di lettura extra della sua opera. Seleziono con attenzione gli eventi a cui partecipo scegliendo con cura il relatore che è la persona deputata a evidenziare al meglio le caratteristiche del mio lavoro di narratrice. Preferisco le persone empatiche agli eccellenti oratori interessati forse a mettere in risalto la propria cultura invece di accontentarsi di fare da “spalla” all’autore. Soprattutto apprezzo chi il mio libro lo ha letto davvero: sembra una provocazione ma non lo è, tu non hai idea di chi accetta di presentarti senza essersi letto nemmeno un rigo di ciò che hai scritto. Non so se questa cosa possa definirsi divertente ma di sicuro in questi anni a volte mi è capitato. In quel caso ho dovuto far buon viso a cattivo gioco.

14. Infine, l’inevitabile domanda: su cosa stai lavorando ora?

Un romanzo ad ampio respiro iniziato a principio del 2025 di cui per il momento non dirò per scaramanzia nulla, anche perché non mi piace vendere la pelle dell’orso prima di averlo catturato; il prosieguo, anche per quest’anno della mia collaborazione con la rivista mentinfuga con articoli di cultura e recensioni freelance di romanzi e opere scelte da me. Un paio di lavori a progetto per mantenermi in esercizio anche in questo filone. Nei miei impegni prediligo la varietà: posso affermare con certezza di essermi raramente annoiata nella mia vita. La creatività e la voglia di sperimentare me lo hanno impedito, oltre ad avermi fornito la possibilità di reinventarmi di continuo come autrice e come donna. Come Persona.

Thinking and Writing as an English Teacher – 24th Lesson

‘When I’m reading for you I lay myself bare, offering you a piece of my soul with my bare hands.
My writing is a reflection of what I never had the courage to tell you while looking into your eyes’.

 

Lucia while reading a page of one of her novels, courtesy of Talenti e Territori (2016)

“Quando leggo per te mi metto a nudo, ti offro un pezzo della mia anima a mani nude.
La mia scrittura è il riflesso di ciò che non ho mai avuto il coraggio di dirti guardandoti negli occhi”.

Lucia Guida

Reading Tips: “La Brughiera” di Thomas Hardy e “Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia” di Michele Ruol

L’estate è meravigliosa per le possibilità extra di lettura che offre a ciascuno di noi. Questi i miei primi suggerimenti estivi per il 2025 per chiunque si fidi delle mie capacità di un’autrice che è in primis lettrice curiosa. La prima proposta, un capolavoro del mio autore preferito della letteratura inglese, è presa dalla mia personale biblioteca, quella costruita attraverso decenni di vita e di letture; la seconda, già finalista al Premio Strega ma da me scelta in base a criteri che poco hanno a che vedere con questa popolare kermesse letteraria, è un’opera prima di un autore a mio avviso interessante per gli spunti di riflessione che offre e che non sono semplicemente scrittorii.
A presto

Lucia

La Brughiera

Clym Yeobright, affermato e benestante tagliatore di pietre preziose a Parigi, torna per le festività natalizie a casa da sua madre nella brughiera di  Egdon nel Dorsetshire. La sua venuta si intreccia a doppio filo con il mancato matrimonio di sua cugina Thomasin con Damon Wildeve, ingegnere di alterne fortune e oste del “Quiet Woman Inn”, sposi mancati per un cavillo burocratico, e la sete di vita di Eustacia Vye, nipote di Captain Vye, vecchio lupo di mare che ha scelto anche per questioni economiche di ritirarsi a vita privata in questo pezzo di mondo all’apparenza dimenticato da Dio e da tutti. Eustacia vorrebbe lasciare Egdon Heath che percepisce estranea al suo sentire; per ottenere ciò la donna come in precedenza aveva pensato di poter legare a sé Wildeve piegandolo ai suoi desiderata, si aggrappa a Clym e alla speranza molto a senso unico che questi possa un giorno decidere di rientrare nella capitale francese.  Ma le esigenze  dell’uno e dell’altra procedono su strade parallele difficili da incrociarsi. L’unione di Clym ed Eustacia entra in crisi anche a causa di problemi di salute dell’uomo  in simultanea al rapporto tra di Wildeve e Thomasine:  l’oste, diventato ricco a seguito di un’eredità,  non ha mai dimenticato la sua amante di un tempo e sollecitato da quest’ultima architetta insieme a lei una fuga verso Bournemouth che si concluderà drammaticamente riportando il microcosmo egdoniano all’ordine di un tempo. In questa narrazione appare a mo’ di coro greco l’umanità umile e variegata dei furze cutters, i tagliatori di ginestra, giovani e meno giovani con cui Clym è in passato cresciuto e con i quali condivide un presente intriso di naturalità anche se estremamente umile sognando di insegnare in una scuola rurale per riscattare i suoi compaesani da ciò che percepisce come trascuratezza e mancanza di conoscenza senza considerare nella giusta prospettiva gli archetipi e le credenze ancestrali di cui essi sono fatti. La narrazione avvince il lettore per la precisione architettonica di cui Hardy si fregia anche in quest’opera, arricchita com’è d’abitudine per l’autore da un personaggio fil rouge, Diggory Venn, agiato ma pronto a condurre un’esistenza modesta da venditore d’ocra pur di proteggere in sordina dalle circostanze Tamsie, Thomasine, di cui è da sempre innamorato. Verrebbe quasi da citare il vecchio adagio “Le vie dell’inferno sono lastricate da buone intenzioni” se soltanto ci si soffermasse sul mero esercizio di buona volontà portato avanti dai personaggi in questo lavorio proteso verso la ricerca costante di una completa emancipazione.  Verrebbe, ma l’autore non lo permette affatto, ricordando come nella vita di ciascuno di noi il libero arbitrio ricopra, forse, un’importanza affatto trascurabile lasciandoci artefici nel bene e nel male della nostra esistenza.


Thomas Hardy, La Brughiera, ISBN 9788811362586

Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia

Una coppia sceltasi a pieno titolo per amore in un tempo non definito e lontano, e nel presente composta da un Padre e da una Madre, si trova a fare i conti con la scomparsa a seguito di un grave incidente automobilistico di entrambi i figli, Maggiore e Minore. L’uomo è un architetto che concepisce il ménage familiare e coniugale in maniera semplicistica e forse un po’ troppo tradizionale, la donna  è un’agronoma mancata che si è votata anima e corpo alla crescita e all’educazione dei due ragazzi, arrivati a poca distanza l’uno dall’altro, anche per sopperire all’assenza fisica ed emotiva del marito. La drammatica vicenda che vede entrambi i protagonisti coinvolti li pone di fronte in maniera estremamente schietta e per certi versi spietata a ciò che la loro unione è diventata nella quotidianità spicciola che è priva del collante rappresentato dalla prole. La narrazione si snoda tra flashback ed episodi di vita contemporanea per aiutare a dipanare meglio le circostanze attribuendo a oggetti pescati dalla quotidianità familiare il compito di disvelare sfumature e sfaccettature che diversamente andrebbero andate perse per l’intero gruppo  aiutando il lettore a procedere pian piano nell’intreccio oltre a fornire un qualche puntello esistenziale ai due personaggi superstiti. L’atmosfera che permea la narrazione, avvincente nonostante la strutturazione a tasselli che la caratterizza, è di dolente consapevolezza: quella che coglie chiunque abbia cercato di sopravvivere a ferite mortali inferte dalla vita. L’autore cerca di salvare dalla situazione stagnante dei rimpianti e delle recriminazioni i protagonisti riuscendo a tratteggiarli in maniera empatica per proporli al lettore nei tanti loro punti di debolezza oltre che in quelli di forza. Mostrando, attraverso quest’opera di ricostruzione minuziosa, come sia possibile andare avanti e persino per certi versi vivere al meglio delle proprie possibilità residue anche all’indomani di un terremoto esistenziale di tale portata.

Michele Ruol, Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia,

ISBN 9788894845525